Scienza e MeteoBufale

Riportiamo un articolo apparso sul Giornale della Protezione Civile, a cura di Patrizia Calzolari, in cui Filippo Thiery, meteorologo della Protezione Civile,  spiega in modo chiaro e professionale il problema della spettacolarizzazione della meteorologia a cui si sta assistendo da quache anno anche in Italia. Buona lettura!

SCIENZA VS METEOBUFALE, THIERY: “RIDIAMO DIGNITÀ ALLA METEOROLOGIA”
“Scienza vs meteobufale” argomento che verrà trattato da Filippo Thiery, meteorologo professionista e volto noto della trasmissione Geo di Rai3, al 5° meeting AssoDima che si terrà a settembre a Senigallia. “Se sul web qualcuno racconta che Dante ha scritto i Promessi Sposi viene preso per persona non meritevole di alcuna credibilità letteraria, mentre – spiega Thiery – se uno spara analoghe bestialità in ambito meteorologico rischia di essere preso sul serio. E’ una situazione che l’Italia non deve più permettersi”

Caronte, flegeonte, ulisse, circe, cerbero e chissà che dalla mitologia  non si passi direttamente ai sette vizi capitali, ai grandi criminali o agli eroi dei fumetti, (ciclone diabolik , tornado dillinger o anticiclone accidia): è la meteorologia “pret a porter” che da scienza per decenni appannaggio di severi colonnelli che chiosavano su “isobare” e “anticiclone delle azzorre” oggi è diventata passione nazionale trasversale e onnipresente. I cellulari si vendono già corredati di app meteo, infiniti i siti web dedicati, video-metereologi superstar e tifoserie su quale sia la app che “ci prende di più”.
Ma le previsioni meteo in realtà sono cosa seria, effetto di calcoli complessi, algoritmi, studi e osservazioni tutt’altro che semplici: allora come mai oggi ci sentiamo siamo tutti meteo-esperti?
Ce lo spiega Filippo Thiery meteorologo professionista, protagonista della rubrica meteorologica di Geo, programma di divulgazione scientifica e ambientale di cheapcialisoriginal.com/ Rai3.

Dott Thiery, perché la meteorologia è diventata così popolare ?
In primo luogo perché è la branca della Scienza, ma direi della conoscenza in generale, che più di qualsiasi altra è in grado di fornire informazioni di largo e quotidiano utilizzo da parte di tutti i cittadini per la pianificazione delle proprie giornate e delle proprie attività, professionali o di tempo libero che siano. Difficile trovare, fra le pagine dei giornali e le varie rubriche di news, un altro ambito capace di risultare quotidianamente utile, e quindi fonte di attenzione ed interesse, per una fetta così grande, trasversale ed eterogena di persone, come appunto l’informazione su “che tempo farà”. In secondo luogo, probabilmente, perché unisce l’eterno fascino della previsione del futuro con il carisma dell’autorevolezza della Scienza, e perché offre la capacità di annunciare e spiegare i fenomeni che popolano la volta celeste e che l’uomo osserva e contempla dalla notte dei tempi; al di là dell’utilità operativa quotidiana, quindi, è una disciplina che fornisce risposte ad esigenze di conoscenza a dir poco ancestrali della nostra specie”.

Qual è il rischio di questa popolarità?
Al pari di qualsiasi ambito molto popolare, capace quindi di riscuotere facilmente ascolto e attenzione, è fisiologico che la meteorologia si presti ad essere utilizzata come mezzo per ottenere audience, ovvero che sia utilizzata come vetrina per veicolare pubblicità, o comunque per catturare lettori, utenti e click a valanga. E in questo non ci sarebbe ancora nulla di male, se la divulgazione meteorologica non diventasse conseguentemente terra di conquista anche da parte di realtà commerciali che non detengono le competenze professionali e/o gli scrupoli deontologici necessari, e se non si assistesse contestualmente alla diffusa pratica di gonfiare o spettacolarizzare gli eventi meteorologici per alzare al massimo l’asticella dell’audience (il sensazionalismo, purtroppo, fa sempre notizia, la perturbazione in arrivo è sempre “devastante” e a volte si trasforma in “uragano”, le piogge intense o le temperature elevate diventano a tutti i costi “record”, e l’aggettivo “eccezionale” ha sempre il suo fascino, facendo parte del repertorio nazional-popolare fin da quando Diego Abatantuono lo pronunciava con quattro zeta e la u al posto della o). Ne risentono, inevitabilmente, la qualità e la serietà dell’informazione, svilendo spesso la meteorologia da disciplina scientifica a fenomeno da baraccone circense. Ma anche laddove non vi siano finalità commerciali, il rischio della popolarità della meteorologia è che a cimentarsi con essa, in particolare con quella votata alle previsioni, si possa trovare davvero chiunque, anche semplicemente per mero diletto o per puro gusto di visibilità (siamo ormai un popolo di collezionisti di “like”) sul web e sui social network. Nell’era di questi ultimi e dell’informazione fai-da-te, una disciplina così popolare, come la meteorologia, diventa un settore particolarmente delicato, che riesce a superare persino il calcio, come terreno di chiacchiere e speculazioni incontrollate: se è noto che siamo un popolo di sessanta milioni di allenatori della nazionale, è ormai conclamato che annoveriamo altrettanti opinionisti meteorologi, di tutte le estrazioni e tutte le età, dai quindici ai novantanove anni, come recitano le scatole di alcuni giochi da tavolo. E non sempre, specie nella giungla del mondo virtuale, è automatico per gli utenti distinguere l’informazione professionale da quella amatoriale, né modulare l’attendibilità da conferire al variegato ed eterogeneo arcipelago della seconda”.

Chi ha la competenza scientifica per fare e diffondere le previsioni meteo?
“Dal punto di vista dei titoli di studio, il profilo più adatto è quello di un laureato in Fisica (ma sarebbe a dir poco auspicabile che nel nostro Paese si investisse per reintrodurre la laurea, ancor più specialistica, in Fisica dell’Atmosfera e Meteorologia, che è stata tristemente vittima dei tagli universitari fino a scomparire). Alla laurea si deve unire un periodo di affiancamento ed attività operativa nella sala previsioni di un ente o servizio meteorologico, esattamente come un medico chirurgo non diventa effettivamente tale finché non si misura concretamente con analisi, diagnosi e prognosi e – a maggior ragione – con gli interventi in sala operatoria. Al di là delle competenze teoriche, infatti, c’è da acquisire confidenza pratica con le metodologie previsionali, prendere “il polso” alle prestazioni della modellistica numerica, accumulare un certo bagaglio di esperienza e di casistica sulle varie situazioni atmosferiche e su come vengono schematizzate, più o meno realisticamente, dagli algoritmi dei modelli a seconda del periodo dell’anno e della zona geografica, e non ultimo abituarsi a tradurre il tutto in prodotti efficaci dal punto di vista comunicativo nei confronti dell’utenza, distinguendo peraltro quella generica da quella di settore, e a relazionarsi con le insidiose dinamiche mediatiche”.

Da tempo si discute del problema della mancanza di certificazione e regolamentazione della professione del meteorologo e dell’anarchia normativa del settore: i meteorologi cosa auspicano a riguardo?
I meteorologi chiedono da tempo di sopperire a questo vuoto normativo, reclamando in particolare l’introduzione di precisi requisiti e criteri di abilitazione all’esercizio della propria professione e alla certificazione della medesima, per adeguarla agli standard di tanti altri mestieri specialistici. Questo a tutela innanzitutto dell’utenza, che ha il diritto di sapere – con chiarezza e trasparenza – chi ha effettivamente titolo per rilasciare determinate informazioni. Credo che chiunque, nel momento in cui deve affidare se stesso o i propri familiari alle cure di un medico, o alla competenza di un avvocato, o alla consulenza contabile di un commercialista, è ben contento di sapere che l’esercizio di queste professioni sia regolamentato da precisi percorsi accademici, di specializzazione e di praticantato, e non può essere svolto in modo improvvisato a livello amatoriale, a rischio poi di affidarsi al primo autodidatta che passa. E’ semplicemente assurdo che lo stesso non valga quando si vanno a cercare informazioni sulle previsioni meteorologiche, ed è decisamente ora di correre ai ripari”.

Quali strumenti ha oggi il cittadino per riconoscere l’informazione meteo affidabile da quella improvvisata?
In assenza di certificazioni sancite dalla legge, gli strumenti in possesso del cittadino passano dal tener presente alcune semplici regole, a partire da quella che definirei aurea, secondo cui le previsioni meteo sono affidabili fino a 2-3 giorni nel futuro in caso di tempo instabile o perturbato, ci si può invece spingere a 6-7 giorni nei casi di alta pressione particolarmente massiccia e consolidata, ma non oltre. E questo non per limiti nella “bravura” di chi fa le previsioni o di chi sviluppa la modellistica numerica, ma per questioni intrinseche alle leggi della Fisica dell’atmosfera. Oltre a non prestare credito agli annunci su che tempo farà fra 10 o 15 giorni (figuriamoci sula stagione a venire), inoltre, non bisogna fidarsi di chi utilizza toni sensazionalistici, rivendica presunti scoop, propina titoli o termini ad effetto, battezza cicloni e anticicloni con nomi più o meno bizzarri, spaccia per affidabili previsioni esageratamente dettagliate (ora e luogo esatti) delle piogge e ancor peggio dei temporali, vende false certezze (l’atmosfera è un sistema fisico caotico, come detto esiste una incertezza non eliminabile anche nelle previsioni a breve scadenza, e va comunicata). Decisamente da evitare anche quelle previsioni automatiche tanto facili ed immediate da consultare ed interpretare (le famose icone dei siti meteo o delle App per gli smartphone) quanto a rischio di risultare fuorvianti (la vera previsione è quella che include il valore aggiunto dell’esperienza del previsore, non il mero output di un computer). Inversamente, è sempre opportuno privilegiare la completezza dei bollettini testuali (scritti o esposti a voce che siano), eventualmente accompagnati dalla grafica (ma senza mai limitarsi alla fuorviante sintesi di quest’ultima), espressi con linguaggio asciutto, terminologia seria e rigorosa, adeguata quantificazione dell’incertezza e della probabilità, e toni senza enfasi a tutti i costi, proporzionati di volta in volta all’effettiva intensità dei fenomeni: quando questi ultimi si annunciano severi, i toni saranno pesanti, talvolta anche gravi, ma senza mai perdere di vista il rigore della lessico scientifico e senza mai cedere alla tentazione di facili espressioni ad effetto. Anche qui, l’analogia con altre professioni specialistiche può essere istruttiva: chi di noi si fiderebbe di un medico che usa accompagnare le diagnosi, a maggior ragione in casi non banali, con termini sensazionalistici ed espressioni da clamore mediatico, inventando magari soprannomi folcloristici da assegnare alle varie patologie?”

In ambito di protezione civile le previsioni del tempo sono fondamentali soprattutto nelle fasi di allerta in cui si prendono le misure atte a evitare le conseguenze di fenomeni meteo importanti o estremi. Qual è in questo caso il rischio derivante da previsioni meteo o linguaggi fuorvianti?
Questo è davvero un aspetto delicato della questione e cruciale per il Paese, quando si parla di allertamento non ci si possono davvero permettere confusioni o ambiguità di sorta. E invece, nell’ambito della nota mancanza di regolamentazione, già di per sé deleteria, sulla credibilità da attribuire alle fonti di una previsione meteorologica, risulta particolarmente grave la regolare sovrapposizione fra le informazioni a fini di allertamento emesse dagli Enti istituzionali, di cui è prerogativa esclusiva tale compito, e quelle divulgate da soggetti privati che – svincolati da qualsiasi legame con la reale attivazione del territorio e quindi liberi da qualsiasi responsabilità civile e penale sia per i falsi che per i mancati allarmi – usano sbizzarrirsi nel divulgare messaggi esplicitamente riportanti espressioni quali “attenzione”, “avviso”, allerta”, “allarme” e via dicendo, tipicamente accompagnati anche da toni apocalittici e quindi gravemente fuorvianti (poche cose fanno ascolto come l’allarmismo o il terrorismo mediatico, nella realtà però esistono vari livelli di allertamento, un evento da avviso non è necessariamente la perturbazione del secolo, è fondamentale distinguere di volta in volta il grado degli scenari di rischio previsti), quando non riportanti informazioni prive di effettiva attendibilità e quindi ancor più pericolose. Questo crea un rumore mediatico gigantesco, nell’ambito del quale faticano ad essere chiaramente distinti e correttamente recepiti, di volta in volta, i messaggi di allertamento ufficiali, arrecando danni enormi in termini di correttezza dell’informazione che arriva tanto alle istituzioni sul territorio quanto, a maggior ragione, alla popolazione. Ne va della credibilità del messaggio (la storiella del “al lupo al lupo” è sempre attuale), ne va dell’efficienza in termini di tutela dei beni della collettività e della vita umana, ed è quindi una questione su cui è urgente una presa di coscienza in termini di senso di civiltà, di etica e di responsabilità, prima ancora che di conseguenze penali (alle quali sarà pure ora di iniziare a dare avvio, visti i diffusi abusi). A questo si aggiunga come gli eventi avversi – in un’epoca in cui va per la maggiore sparare a zero e per principio sulle istituzioni – vengano regolarmente strumentalizzati per dare adito a speculazioni, false accuse ed autentici atti di sciacallaggio nei confronti delle allerte ufficiali, sia da parte dei “biscazzieri del web” (come vennero efficacemente definiti dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Prefetto Gabrielli) che purtroppo – in casi più circoscritti ma istituzionalmente assai gravi – da parte di singoli esponenti del mondo della ricerca, evidentemente a caccia di visibilità mediatica o di propaganda per l’attività del proprio gruppo, come tristemente avvenuto dopo l’ultima alluvione di Genova, dimostrando peraltro di non conoscere né il funzionamento del sistema di protezione civile né il contenuto degli avvisi meteo emessi nei giorni in questione (a tale proposito, mi permetto di auspicare che gli Enti di ricerca, specie in situazioni drammatiche in cui ci sono cittadini che hanno perso la vita, adottino un maggiore controllo sulle interviste di loro dipendenti o dirigenti che, pur parlando a titolo personale, nel rilasciare dichiarazioni superficiali o errate in merito al lavoro altrui figurano comunque esplicitamente come esponenti dell’Ente di appartenenza). Questa consuetudine di sfruttare, in situazioni di emergenza, in modo più o meno “sciacallistico” e con il solo scopo di farsi pubblicità, un tema delicato e complesso come la protezione civile, finisce regolarmente per assestare ingiuste spallate mediatiche all’immagine e alla credibilità di un sistema che funziona quotidianamente, con personale qualificato attivo per 24 ore al giorno e 365 giorni l’anno, secondo precise codifiche, tempistiche e catene di responsabilità, nella complessa architettura del sistema Stato-Regioni, al servizio dei cittadini. La realtà, vale la pena sottolinearlo, è che in un territorio così disastrato dal punto di vista idrogeologico (siamo letteralmente “un Paese che cade a pezzi”, sono parole scritte nei verbali della Commissione Ambiente alla Camera e al Senato), in cui il rischio del disastro incombe a ogni pioggia intensa, sul sistema di allertamento ricade un peso spropositato di responsabilità civili, penali, mediatiche, morali (che andrebbero invece ricondotte a ben altri destinatari), e un carico altrettanto eccessivo di aspettative, rispetto alle reali potenzialità di una allerta, che ne fanno il capro espiatorio di ogni catastrofe e di ogni tragedia, invece di parlare dei veri problemi e delle vere responsabilità, quelle di un territorio ridotto a un colabrodo da decenni di scempi edilizi ed urbanistici, di lavori per la messa in sicurezza mai iniziati anche quando erano stati finanziati e di atti amministrativi a dir poco criminali che – in un contesto così vulnerabile – espongono la popolazione al rischio in modo indiscriminato (si pensi alla concessione dell’abitabilità nei seminterrati in zone a rischio alluvione)”.

Il prossimo settembre, Lei parteciperà a Senigallia al meeting AssoDima con un intervento a titolo “Meteobufale, meteogiullari e meteostrilloni… difendiamo la dignità della meteorologia dagli urlatori del web”. Cosa intende per meteobufale e perché hanno tanta presa sulla gente?
Le ‘meteobufale’ sono il prodotto di punta di chi utilizza la popolarità dell’informazione meteorologica come strumento per procacciarsi audience o catturare visibilità, puntando su notizie false, o prive di qualsiasi attendibilità scientifica, ma di sicuro appeal per gli utenti (tipo che tempo farà a Natale o a Pasqua con dieci o quindici giorni di anticipo) o di altrettanto certo impatto emotivo e quindi mediatico (tipo le notizie gonfiate a dismisura per essere tramutate nell’evento del millennio). Purtroppo bisogna rilevare una certa complicità di una parte consistente del mondo dell’informazione, il quale – a sua volta a caccia della “notizia” da sparare a caratteri cubitali a lettori o telespettatori – si presta sovente a rilanciare queste autentiche bufale meteorologiche, portandole così all’attenzione di milioni di persone e conferendo loro una patente di credibilità e autorevolezza (“l’ha detto la televisione”), in una perversa combinazione di intenti fra la malafede della fonte che confeziona la notizia gonfiata/finta/distorta e la smania di sensazionalismo del giornalista a caccia di titoloni, scoop o frasi ad effetto. Questo rappresenta un danno incalcolabile per la comunicazione di questa scienza e per le enormi potenzialità che deriverebbero da una divulgazione seria e professionale delle informazioni meteorologiche, sia in termini di corretta fruibilità quotidiana per i cittadini, che di salvaguardia delle vite umane. Per fortuna, nel panorama dei media e del giornalismo esistono anche le eccezioni, e devo dire che ho avuto personalmente la buona sorte di incontrarne parecchie. Noto anzi sempre più spesso, con un certo piacere, che l’esagerazione mediatica sui fenomeni atmosferici è giunta a livelli talmente estremi, da far sì che il raccontarli in modo oggettivo e semplicemente attinente ai fatti desti regolarmente stupore, attenzione ed interesse, in una parola – paradossalmente – faccia audience. E questo, fra l’altro, vuol dire che tantissima gente sarebbe molto più pronta e disposta di quanto non si pensi ad accogliere una informazione seria, asciutta ed equilibrata”.

“Meteogiullari” e “meteostrilloni”: definizioni forti…
“Tanto forti quanto, purtroppo, appena sufficienti a descrivere il desolante stato della divulgazione meteorologica nel nostro Paese, dove le isole di professionalità, sia del mondo istituzionale che della parte più seria del mondo privato, faticano ad essere individuate, nell’oceano della meteorologia da tendone circense di cui sopra. Gli “strilloni”, per i quali qualsiasi evento viene gonfiato a diventare notizia da edizione straordinaria, spesso coincidono con i “giullari”, sempre più fantasiosi nel corredare gli eventi meteorologici di nomignoli, termini folcloristici, espressioni roboanti e titoli ad effetto, e sempre pronti a giocare sul presentare come previsioni attendibili delle ipotesi in realtà non suffragate da affidabilità scientifica (quali le tendenze a lungo termine). Le due caratteristiche insieme, inoltre, concorrono a creare notizie a dir poco distorte (tipo raccontare alla gente che un evento di El Niño possa essere utilizzato operativamente per prevedere come sarà la stagione a venire nel Mediterraneo) o per cavalcare le più strampalate e infondate teorie complottiste, pur di guadagnare un articolo di sicuro fascino per molti lettori (esempio principe, la celeberrima bufala delle “scie chimiche” cui è arrivato a prestare credito perfino qualche Deputato della Repubblica, nelle proprie interrogazioni parlamentari). Ma potremmo aggiungere definizioni anche più cattive (a partire dal “meteopattume” che popola diffusamente soprattutto il web e i social), ricorrendo giocoforza anche ad alcune poco signorili (le lascio alla vostra immaginazione), senza mai riuscire a descrivere completamente il fenomeno”.

I cambiamenti climatici però hanno estremizzato i fenomeni meteo, molti dei quali non più sono compatibili o riconoscibili con la terminologia consueta…
“No, non abbiamo a che fare con fenomeni “nuovi” per i quali serva inventarsi altri nomi. E’ più corretto dire, invece, che i cambiamenti climatici stanno rendendo più frequenti i fenomeni meteo estremi, che nel nostro clima ci sono sempre stati, ma si manifestavano come eventi assai più saltuari, per non dire rari, specie nelle manifestazioni di maggiore intensità (e questa aumentata frequenza ha ovviamente effetti devastanti negli impatti sul territorio, sull’ecosistema e sulle attività umane). I fenomeni estremi che registriamo nel nostro Paese derivano da nubifragi, tornado, ondate di calore, cicloni, mareggiate (ed associati effetti al suolo – complici la diffusa vulnerabilità del nostro territorio – come frane, alluvioni, erosioni costiere, incendi, siccità) e non sono affatto eventi o situazioni nuove o sconosciute: la terminologia meteorologica ufficiale esistente, pertanto, resta più che esaustiva per descrivere gli eventi. Quel che non è più adeguato, invece (ammesso che lo sia mai stato), e che andrebbe urgentemente modificato in conseguenza dei cambiamenti climatici e della aumentata frequenza degli eventi estremi, sono le scelte energetiche, i criteri edilizi, le pianificazioni urbanistiche, le pratiche ambientali, le abitudini di utilizzo e gestione del territorio, per mettere in atto strategie sia di adattamento che di mitigazione, rispetto all’epocale emergenza del global warming che rischia seriamente di tramutarsi in catastrofe, e le cui cause sono peraltro antropiche. Nel nostro Paese, quanto a contrasto degli eventi avversi ed estremi, dobbiamo recuperare decenni di cementificazione selvaggia, urbanizzazione scriteriata e gestione dissennata del territorio, portate avanti a suon di condoni senza alcuna attenzione alle problematiche del rischio idrogeologico e idraulico (che ormai risultano elevati sulla porzione del 10% del territorio nazionale, distribuita nell’82% dei comuni italiani a coinvolgere circa 6 milioni di cittadini); le nostre città e le nostre infrastrutture sono state costruite come se fenomeni meteorologi intensi non facessero già parte del nostro clima, e continuare a considerare questi ultimi qualcosa di “nuovo” o di “mai visto”, introducendo neologismi peraltro sgraziati e dal vago sapore guerrafondaio, come le famigerate “bombe d’acqua”, non fa che fornire alibi e giustificazioni a chi, pur di lucrare, non li ha tenuti in considerazione in sede di progettazione e di pianificazione (pensiamo a tutti gli insediamenti in piane alluvionali o in aree di espansione naturale dei corsi d’acqua, alla tombatura di questi ultimi nel pieno centro di grandi città, alla scarsa manutenzione degli argini e dei versanti). In un quadro così disastrato e dissestato, gli scenari dei cambiamenti climatici, per cui un luogo che prima poteva essere colpito da alluvioni una volta ogni dieci o venti anni ora rischia di essere invaso dalle acque un anno sì e l’altro pure, sono casomai una aggravante, non una scusante, rispetto a come abbiamo trattato e continuiamo a trattare il nostro territorio”.

In sintesi da una parte bombe d’acqua, caldo sahariano, grandinate epocali, freddo glaciale e meteoflagelli estemporeanei, dall’altra l’esigenza di ridare alla comunicazione della meteorologia, e quindi alla meteorologia, la dignità di una scienza importante, scevra da approssimazioni o da effetti richiamo e di comunicare al cittadino con linguaggio rigoroso (ma comprensibile e accessibile) il clima che cambia. Come se ne esce?
Se ne esce solo agendo contemporaneamente a vari livelli, da un lato sul piano normativo, introducendo adeguati criteri di regolamentazione e certificazione di questa professione (cui, però, deve accompagnarsi una ferrea attività di individuazione e perseguimento degli abusi), dall’altro lato sul piano educativo e formativo, lavorando a tappeto nel tessuto sociale (a partire dalle scuole, fin da quelle primarie e secondarie inferiori) per elevare in misura macroscopica il livello culturale medio della popolazione in materia meteorologica. Questo secondo aspetto è fondamentale, perché permetterebbe di filtrare automaticamente la stragrande maggioranza del pattume meteorologico, fino a scoraggiarne definitivamente la produzione e la diffusione: se qualcuno racconta su internet che Dante ha scritto i Promessi Sposi, o sostiene che “un albero” si scrive con l’apostrofo, viene preso (almeno mi auguro!) per persona non meritevole di alcuna credibilità letteraria, senza bisogno che intervenga alcun ente ufficiale o professionista certificato a farlo notare… mentre se uno spara analoghe bestialità in ambito meteorologico (ma forse potremmo generalizzare questo discorso all’intero campo scientifico), rischia di essere preso sul serio da una larga fetta degli utenti, e addirittura rilanciato dai più importanti quotidiani nazionali e dalle maggiori agenzie di stampa del Paese. E questa è una situazione che non credo una Nazione civile si possa più permettere”.

Dott. Thiery, c’è qualcos’altro che vuole aggiungere?
“Sì, un pensiero. Per Stefano Gallino, storico meteorologo dell’Arpa Liguria e della Federazione italiana di Vela, per la quale ha ripetutamente seguito la nostra Nazionale, come previsore ufficiale, sia alla Coppa del Mondo che alle Olimpiadi. Un professionista brillante e generoso, molto stimato anche a livello internazionale, a testimonianza di quanto la meteorologia italiana – quella vera – possa mettere in campo risorse davvero di eccellenza. Ed è uno dei colleghi con cui condividevamo, da anni, questa piccola-grande battaglia per una buona e corretta divulgazione della meteorologia. Ora non c’è più, ma io voglio pensarlo concentrato sulle mappe meteorologiche a districare isobare e correnti, e ad inseguire il moto delle onde che amava tanto, e che per lui – a forza di essere vento, come cantava De Andrè – non avevano segreti”.

Patrizia Calzolari

 

Febbraio 2014: ancora caldo e piovoso

Riportiamo in questo articolo le immagini dell’anomalia di temperatura e precipitazioni  elaborate dal CNR. Come visibile dalle figure sotto, il mese di febbraio é stato caratterizzato da temperature più alte e precipitazioni più abbondanti della media 1971-2000. A livello nazionale, l’anomalia di temperatura ha fatto registrare +2.5 °C, mentre per quanto riguarda le precipitazioni +102%. Si é trattato del secondo febbraio più caldo dal 1800, e dell’undicesimo febbraio più piovoso dal 1800.

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Sulle Prealpi Venete le anomalie sono state ancora più accentuate, essendo di circa +3°C per le temperature e +300% per le temperature. In pratica, il mese di febbraio é stato 3 gradi più caldo della media ed é piovuto il triplo di quello che normalmente piove.

Bilancio dell'autunno 2014

L’autunno 2014, composto dalla stagioni settembre, ottobre e novembre, é risultato caldissimo e molto Best Essay Writing Service Online -… piovoso.

Le mappe di anomalia termica e precipitativa elaborate dal CNR (disponibili qui), pur con tutti i loro limiti dati da una scarsa risoluzione spaziale dei dati, mostrano come l’autunno 2014 sia risultato in tutta Italia più caldo del normale, con valori perfino superiori a 2°C di deviazione dalla media del trentennio 1971-2000. Anomalia termica positiva che non ha risparmiato nemmeno la regione alpina e la zona del Monte Baldo. L’importanza di quest’anomalia si capisce facilmente se si considera che l’autunno appena trascorso é stato il più caldo a livello italiano dal 1800, con una media nazionale di 2.12°C rispetto alle temperature medie del trentennio di riferimento.

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E anche le precipitazioni sono state molto più abbondanti del normale, con valori che hanno addirittura più che doppiato quelli medi stagionali sul Nord Italia.  A livello locale si sono registrati totali di pioggia anche più elevati. La nostra stazione meteo, installata il 20 ottobre, ha registrato circa 600 mm di pioggia da quella data alla fine di novembre, circa un terzo della pioggia che dovrebbe cadere in media durante tutto l’anno.

 

Bilancio della primavera 2014

Riportiamo il bilancio termico e pluviometrico della stagione primaverile di quest’anno (marzo-aprile-maggio) mediante le mappe di anomalia elaborate dal Centro Nazionale per http://isviagraotc.com/ le Ricerche (disponibili qui).

La mappa seguente mostra l’anomalia termica per la primavera appena trascorsa, cioè la differenza tra le temperature medie registrate in primavera e le temperature medie delle primavere del trentennio 1971- 2000 su tutta la penisola italiana.

 

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Notiamo come praticamente tutta Italia abbia sperimentato temperature più alte della norma di riferimento, tranne un piccolo settore della Sicila occidentale. Sulle Prealpi venete l’anomalia positiva è stata superiore a 1.5 °C.

A livello nazionale la primavera 2014 è risultata essere l’undicesima più calda dal 1800 con uno scarto di +1.11°C.

L’anomalia termica positiva stagionale è stata causata principalmente dai mesi di marzo e aprile particolarmente caldi, mentre ricorderete che il mese di maggio è stato abbastanza fresco.

 

Per quanto riguarda le precipitazioni, la cartina sottostante mostra le anomalie della scorsa primavera.

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A livello nazionale è piovuto il 7% in meno della media di riferimento 1971-2000, valori che si osservano anche sulla zona del Monte Baldo, dove si sono avuti quantitativi totali di pioggia non troppo distanti dalla media. Solamente sull’Italia meridionale si è avuta un’anomalia di precipitazione positiva.

Bilancio della stagione invernale 2013-2014

Analizziamo le analisi di anomalia termica e precipitativa elaborate dal CNR  per i mesi di dicembre, gennaio e febbraio, cercando di fare un bilancio della stagione invernale appena conclusa:

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L’anomalia termica media nazionale é stata di +1.8 °C, mentre per quanto riguarda le precipitazioni é stata di +62%. Si notano tuttavia importanti differenze regionali, con i massimi di anomalia sia termici che precipitativi osservati sull’estremo Nord-Est italiano. Per la zona del Monte Baldo, queste analisi indicano un’anomalia termica di quasi +3°C e precipitativa di circa +150%.
A livello nazionale, l’inverno 2013-2014 é stato il secondo più caldo dal 1800, e il quindicesimo più piovoso.

Queste analisi forniscono tuttavia solo un’indicazione di massima, in quanto non tengono conto di tutte le stazioni pluviometriche sparse sul territorio e hanno una risoluzione spaziale che non riesce a rappresentare bene le precipitazioni che vengono misurate sui rilievi.

Per capire meglio quanto accaduto nella passata stagione invernale, riportiamo il link ad un articolo recentemente apparso sul sito di MeteoSvizzera in cui vengono analizzate precipitazioni e temperature nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio per alcune stazioni meteorologiche dei Cantoni Ticino e Grigioni.

Clicca qui per leggere l’articolo

Le Prealpi Venete hanno in generale un clima del tutto simile a quello delle Alpi Svizzere meridionali del Canton Ticino e Grigioni; infatti tali zone si trovano entrambe sul versante sudalpino. Pertanto i risultati dell’ analisi della stagione invernale appena conclusa elaborata da MeteoSvizzera sono probabilmente validi anche per il Monte Baldo: mai nel passato, dalla fine dell’Ottocento, si era osservato un inverno allo stesso tempo così caldo e piovoso sui nostri monti.

 

Previsioni meteo, dopo 5 mesi installata la nuova centralina

Colpita da un fulmine, era fuori uso da maggio. Grazie al finanziamento del Consorzio Bim Adige e di altri sponsor è stato possibile sostituirla

Da L’Arena this site del 26/10/2014

Finalmente il monte Baldo ha la sua nuova stazione meteo. Dopo il fulmine che lo scorso maggio aveva messo fuori uso l’apparecchio dell’Osservatorio meteorologico al rifugio Fiori del Baldo, i volontari dell’associazione Meteo Monte Baldo avevano lanciato un appello a istituzioni e a varie realtà del territorio per chiedere i finanziamenti necessari per installare una nuova centralina. Nei mesi successivi al guasto però nessuno si era fatto avanti. Poi i primi segnali sono arrivati a metà settembre dal Consorzio Bim Adige (Comuni Bacino imbrifero montano dell’Adige della Provincia di Verona) che grazie ad un importante contributo è riuscito in parte a coprire il costo della nuova struttura: tra pc, software e data base, una decina di migliaia di euro. Un’altra società si è resa disponibile a offrire una piccola quota mentre un’ottantina di nuovi soci ha sostenuto la causa con un’offerta simbolica.
«Ringraziamo chi ha aiutato con i primi preziosi contributi», spiega Gabriele Lazzarini, promotore dell’osservatorio e presidente dell’associazione MeteoMonteBaldo, «ora ci auguriamo che anche i Comuni del Garda-Baldo e le altre società a cui abbiamo chiesto un sostegno siano sensibili alla causa e siano disposti a coprire le spese vive che finora abbiamo dovuto sostenere». In attesa che qualcun altro si faccia avanti per finanziare il costo rimanente dell’opera, nel frattempo la centralina è stata montata. Dopo cinque mesi senza misurazioni, la nuova stazione meteorologica di ultima generazione, realizzata dall’azienda padovana Delta Ohm, è stata installata a 1.850 metri di altitudine, ai Fiori del Baldo, nello stesso punto dove era posizionata quella bruciata dal fulmine, sulla cresta meridionale del monte.
«La nuova centralina è un apparecchio ultra moderno e all’avanguardia», spiega con orgoglio Lazzarini che assieme agli altri volontari, a Moreno Oliboni, gestore del rifugio e a Luca Panziera, membro di Meteo Monte Baldo, ricercatore di Meteo Svizzera e meteorologo dell’associazione, Lorenzo Giovannini meteorologo e ricercatore all’università di Trento e Stefano Fornaser dell’azienda Rst Service di Pescantina, ha riassemblato pezzo per pezzo e quindi installato la nuova strumentazione, realizzata ad hoc dall’azienda padovana.
Grazie al nuovo apparecchio si potranno misurare temperatura, umidità, pressione atmosferica, radiazione solare totale, radiazione ultravioletta, pioggia, direzione ed intensità del vento. La stazione è totalmente riscaldata per evitare la formazione di ghiaccio che ne comprometterebbe inevitabilmente le misurazioni. L’anemometro è di tipo ultrasonico, e quindi le misure sono molto più precise rispetto agli anemometri convenzionali a coppette e banderuola. Il pluviometro è di tipo a bascula ma ha una bocca più larga rispetto a quelli tradizionali per facilitare la misura anche con vento e neve. Le creste si trovano in una situazione privilegiata per misurare temperatura, vento, pressione e radiazione solare. Per la pioggia è invece difficile ottenere delle stime attendibili a causa dell’effetto del vento che causa una sottostima. L’apparecchio è in grado di registrare 24 ore su 24 le misurazioni climatiche sia sul Baldo che sul lago di Garda e tutta la pianura Padana.
«Questa nuova stazione permette di studiare l’evoluzione del clima e rilevare dati certi da confrontare negli anni», sottolinea Lazzarini. «Con la vecchia centralina abbiamo notato che sul Baldo in dieci anni, dal 2004, quando era stata installato il primo apparecchio, al maggio di quest’anno, la temperatura media in inverno è aumentata tra 1 e 1,5 gradi. Un dato molto significativo. Dalla nuova stazione stanno già emergendo i primi dati che verranno poi confrontati stagione dopo stagione. Nel nostro piccolo siamo in grado di dare un contributo al monitoraggio dell’evoluzione del clima. Ora», conclude il presidente di Meteo Monte Baldo, «il nostro obiettivo è sensibilizzare più persone possibili sull’argomento, acquisire nuovi dati e informazioni sul clima del Baldo e nella primavera 2015 organizzare un progetto con gli istituti scolastici per diffondere anche tra i giovani queste tematiche».

Emanuele Zanini

I cannoni antigrandine, tra scienza e speranza…

Il primo cannone antigrandine fu progettato alla fine del 1880 dall’ austriaco Albert Stiger, produttore di vino. Ma già dal Medio Evo l’ uomo era convinto che il forte rumore poteva essere uno strumento utile per mitigare i danni prodotti dalla grandine.
Basti pensare che inizialmente (e in alcuni posti ancora oggi) venivano fatte suonare le campane per scongiurare i potenziali danni di un temporale in arrivo. Questo nell’ 8° secolo, e soprattutto nei paesi del Sud Europa. Nel 14° secolo si iniziarono a potenziare i decibel usando colpi di fucile verso le nubi considerate minacciose fino ad arrivare al vero e proprio cannone antigrandine alla fine del 1800: alto 2 metri, in acciaio, a forma di cono, molto simile ad una ciminiera della locomotiva, all’ interno del quale veniva caricata la polvere da sparo. L’esplosione causava la fuoriuscita di fumo verso l’alto e allo stesso tempo un fragoroso rumore. Fu subito un successo l’invenzione di Stiger, specie tra gli agricoltori, convinti che il cannone potesse riparare dai danni provocati dalla grandine.
antigrandine
Ecco quindi che che dall’ Austria il progetto prese piede velocemente in Francia, Germania, Italia e Austria tra il 1897 e il 1898. Nel 1900 si contavano più di 10.000 cannoni soltanto in Italia e sempre nello stesso anno, durante la fiera di Padova, vennero presentati qualcosa come 60 modelli di cannoni antigrandine. Tra questi, veri e propri mostri dell’ altezza di 9 metri e dal peso di 9000 kg. Nello stesso periodo vennero presentati i primi modelli caricati a gas al posto della polvere da sparo, così che il processo di esplosione divenne più rapido. Nel 1899 ci fu addirittura il Primo Congresso Internazionale del cannone antigrandine, (Hail Shooting- Casale, Italy). Ma il boom, nel vero senso della parola, ebbe vita breve: i primi danni causati dalla grandine su terreni coltivati, nei quali erano stati installati i cannoni antigrandine, decretarano il flop del progetto nell’ arco di qualche anno.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la ricerca scientifica portò all’ uso di sostanze all’ interno delle nubi per modificare il meccanismo di formazione della grandine e della pioggia. Ci fu una richiesta sempre maggiore di questi prodotti, specialmente sopra le aree agricole. Questa pratica però risultava molto costosa, motivo per il quale la richiesta del cannone antigrandine tornò a crescere, specie negli anni 70′ quando vennero depositati i primi brevetti relativi a cannoni antigrandine ad acetilene. Ad oggi, i moderni cannoni antigrandine sono alti circa 6-8 metri e come combustibile viene usato acetilene o gas propano. L’ attivazione dell’ esplosione è elettronica e vengono sparati circa 15 colpi ogni ora. I produttori indicano che il cannone deve entrare in funzione circa 30 minuti prima dell’ arrivo del temporale e che la sua efficacia si estende a 190 ettari.Costruiti con materiali di elevata qualità (accaio inox) e costi sempre inferiori si ritengono una valida alternativa all’ uso di reti antigrandine o delle assicurazioni. Serie di cannoni si trovano negli Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia, India, Sud America, Messico ed ancora una volta in Europa.
Ma questi cannoni, funzionano davvero?

Il principio di funzionamento http://essaywritingstar.com/ si basa su una teoria scientifica tutta italiana, la “cavitazione”. L’enorme alterazione della pressione causata al passaggio di una potentissima onda d’ urto è in grado di creare sacche di vapore all’ interno delle gocce di pioggia e vaporizzare piccole gocce d’ acqua eventualmente intrappolate all’ interno dei chicchi di grandine. Appena passata l’ onda, le sacche di vapore non trovano più le condizioni termodinamiche per resistere alla tensione superficiale del liquido ed implodono. Così facendo, rompono in pezzi più piccoli sia le gocce di pioggia, sia i chicchi di grandine.

Teoria che non fa una piega. Ma passiamo ai dati pratici: a 100 metri di altezza il cannone sviluppa una pressione pari a 1,5 hPa, a 4 km di altezza 0,033 hPa. (studi effettuati da: Groupement Interdipartimental d’Etudes des Fléaux Atmosphériques di Valence e l’Ecole Nationale Supérieure d’Arts et Métiers di Parigi).

Andiamo quindi a 100 metri dal suolo: la pressione di 1,5 hPa corrisponde ad una forza di 0,0015N su ogni millimetro quadrato di superficie. Il diametro medio di un chicco di grandine: 10 mm. Su ogni chicco quindi agisce una forza d’ urto di 1,95N. Una forza del genere riesce a tener sospeso nell’ aria qualcosa come una pallina da baseball del peso di circa 200 grammi. Andiamo più su, a 4000 metri dal cannone. Qui la forza d’ urto in arrivo da terra riesce a tenere sospesa in aria una monetina da 10 centesimi di Euro ( qualcosa come 4 grammi). Considerando che la grandine si forma generalmente sopra i 5000 metri e ogni chicco in media pesa 5-10 grammi, e che all’ interno di un temporale le correnti ascensionali e discensionali (verso l’alto e verso il basso) superano velocità di 100 km-h riuscendo a trascinare oggetti del peso di decine di chili, si capisce che l’onda d’urto generata dai cannoni è davvero troppo debole per rompere i chicchi di grandine e le goccioline d’acqua.
Il cannone antigrandine, per chi lo installa, è quindi solamente una spesa inutile per il semplice fatto che non ha nessuna efficacia nel contrastare la caduta di grandine. Tale costo varia dai 10 ai 20 mila euro.
Davide Dalla Libera
(dati elaborati da Michele Salmi)

Stazione meteo fulminata «È indispensabile riaverla»

Panziera: «Aumenta la sicurezza di chi frequenta la montagna ed è necessaria in un periodo di eventi climatici estremi come questo»

Da L’Arena del http://www.cheapcialisoriginal.com/ 19/09/2014

«Il monte Baldo ha bisogno di una sua stazione meteo che misuri le condizioni atmosferiche in tempo reale».
A lanciare l’appello è Luca Panziera, fondatore dell’associazione Meteo Monte Baldo con Gabriele Lazzarini e Moreno Oliboni, nonché esperto di meteorologia con un dottorato di ricerca in Scienza dell’atmosfera al Politecnico federale di Zurigo e ricercatore di MeteoSvizzera.
Lo scorso maggio, durante un temporale, un fulmine ha bruciato l’apparecchio che gestiva il monitoraggio delle condizioni e previsioni meteo mandando fuori uso la stazione meteorologica situata all’Osservatorio meteorologico rifugio Fiori del Baldo, a 1.850 metri di altitudine. Da allora l’associazione sta cercando di reperire i fondi necessari per installare un nuovo apparecchio in quota, ma ad oggi nessuno, a partire dalle istituzioni, si è fatto avanti per dare loro una mano.
Alcune realtà avevano promesso un aiuto economico ma alla fine si sono tirate indietro. E oggi l’associazione si ritrova con la nuova stazione in stand by a Padova, dove era stata ordinata in attesa dei finanziamenti e quindi assemblata. Ma per la mancanza di fondi nonostante sia quasi pronta non può essere portata sul Baldo. «Avere una stazione meteo in grado di “fotografare” il tempo costantemente», spiega Panziera, «può migliorare le previsioni meteorologiche della giornata e dare preziosi dati sull’evoluzione del clima. Possedere una strumentazione del genere non solo aumenterebbe il livello di sicurezza di chi frequenta la montagna ma potrebbe trasformarsi anche in un biglietto da visita da “spendere” a livello turistico». Secondo il ricercatore veronese queste misurazioni da una parte consentirebbero agli escursionisti e a tutti coloro che intendono salire sul Baldo di essere costantemente informati sulle condizioni climatiche in quota e dall’altra fornirebbero importanti indicazioni sull’evoluzione del clima sulla montagna. «Ora sul Baldo è attiva la sola stazione meteo dell’Arpav, sulla Colma sopra Malcesine, che misura solo temperatura, pressione e umidità. E i rilevamenti non sono in tempo reale». Panziera sottolinea inoltre quanto sia necessaria la nuova stazione meteo considerando il rapido cambiamento del clima cui stiamo assistendo. «Proprio in un periodo come questo dove eventi climatici estremi si ripresentano con sempre maggiore frequenza anche a causa del riscaldamento globale», precisa, «avere una stazione meteo in grado di misurare costantemente e in tempo reale il clima è fondamentale».
Il ricercatore veronese, tra l’altro di ritorno da un importante convegno sulla meteorologia montana tenutosi a San Diego in California, unico italiano presente tra i 200 studiosi partecipanti, punta il dito sull’attuale desolante situazione in cui versa la meteorologia in Italia. «Rispetto ad altri Paesi come Svizzera o Stati Uniti», spiega, «siamo indietro anni luce. I mezzi per effettuare una precisa osservazione del meteo ci sono, ma non in Italia. Esistono strumenti e sistemi in grado di dare un’allerta meteo a tutta la cittadinanza in maniera quasi istantanea. I pochi e costosi radar meteorologici presenti sul territorio italiano, in grado di monitorare la pioggia e i relativi dati in tempo reale, per esempio, non vengono sfruttati a sufficienza, anche a causa di mancanza di risorse economiche e umane. Servirebbero nuovi investimenti sulla meteorologia per un deciso cambio di rotta».

Emanuele Zanini

Bilancio dell'estate 2014

Eccoci all’appuntamento col bilancio stagionale visit this site della stagione appena conclusa.

Una stagione estiva che verrà ricordata per la molta pioggia, la molta nuvolosità e per una sensazione diffusa di mancata estate. Ma è proprio cosi?

Riportiamo il bilancio termico e pluviometrico elaborato dale CNR (disponbile qui).

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Notiamo come quest’estate sia risultata sulla zona del Monte Baldo in linea con le temperature medie registrate nel periodo 1971-2000, mentre a livello nazionale l’anomalia è stata di +0.3°C ,  dato che il Sud Italia ha fatto registrare temperature superiori alla media stagionale. Non dimentichiamo però che anche al Nord all’inizio di giugno c’è stata una decina di giorni con temperature di gran lunga superiori alla media.

A livello precipitativo, secondo l’analisi del CNR è piovuto circa il 25% in più rispetto alla media sulla zona del Monte Baldo, mentre l’anomalia nazionale è stata dell’8%.

Il bilancio stagionale elaborato da ARPA Veneto (www.arpa.veneto.it) parla di un’estate in cui è piovuto il 70% in più della media. Sulla zona del Baldo, sono caduti circa 400 litri per metro quadrato in più rispetto alla norma, che è di circa 300 mm Pertanto, è povuto più del doppio del normale. Lo scarto delle temperature massime è stato negativo e compreso tra 1 e 2°C, mentre quello delle temperature minime è stato trascurabile. Di conseguenza, le temperature medie giornaliere sono state solo di poco al di sotto della norma, con uno scarto di circa -1°C.

Anche MeteoTrentino ha stilato un bilancio della stagione estiva appena conclusa (www.meteotrentino.it). Anche se sul Trentino la quantità di precipitazione non è stata da primato, il numero dei giorni di pioggia è stato il più elevato mai osservato prima d’ora. Per esempio, a Trento i giorni piovosi sono stati 37 su 90, mentre a Castello Tesino sono stati ben 55. In pratica, è piovuto quasi un giorno ogni due in Trentino. Inoltre, la precipitazione cumulata fino alla fine di agosto in Trentino è stata superiore in tutte le stazioni alla media annuale.

Se ci spostiamo ad analizzare quanto accaduto un centinaio di km più a Ovest del Monte Baldo, notiamo che anche il bilancio stagionale stilato da MeteoSvizzera (www.meteosvizzera.ch) per il Sud della Alpi è sulla stessa linea. In Ticino, a basse quote lo scarto negativo è stato compreso tra 0.5°C e 0.9°C, e si sono misurati quantitativi di pioggia del 150-200% superiori rispetto alla norma; il soleggiamento stagionale è stato il 70-80% della norma.

Dalle analisi effettuate dagli uffici regionali di MeteoTrentino e Arpa Veneto, appare come l’analisi del CNR, di respiro nazionale, abbia probabilmente sottostimato lo scarto precipitativo della scorsa estate, e forse un pò anche quello termico.

 

Il rischio è anche dietro casa, intervista al presidente Lazzarini

Riportiamo l’articolo apparso su L’Arena del 10 gennaio , in cui il nostro presidente Lazzarini parla di sicurezza in montagna.

VERONA. Una nevicata breve e intensa. Seguita dall’allerta dei bollettini. Non serve: gli sciatori escono in cerca di «polvere» fresca, le valanghe cominciano a staccarsi, strato spesso e incoerente caduto troppo in fretta e seguito da temperature in rialzo, quasi autunnali. Da Natale in poi la somma delle vittime supera le dita di due mani. Nevicherà ancora, presto. L’allerta resta elevata (tra terzo e quarto grado su una scala di cinque) sull’arco alpino e sulle Prealpi.

Non esiste «montagna di casa», non c’è «campo giochi» sicuro. Il rischio non è però legato necessariamente alla pratica dello sci in tutte le sue forme, o all’escursionismo-alpinismo invernale, quanto a precise condizioni meteo-ambientali che, se non conosciute a fondo, generano le condizioni per l’incidente. La fatalità, in montagna come nella vita quotidiana, ha un peso, è la beffa inattesa: ma le tragedie di cui riferiscono le cronache recenti (e delle stagioni passate) quasi mai hanno a che fare con essa. Vale anche per il Veronese, per il Baldo e il Carega, terreno di escursione e di allenamento per molti amanti della montagna invernali.
TRAGEDIA NEL CANALONE. Tre anni fa la sciagura del Baldo: la discesa in un canalone apparentemente non insidioso sul versante occidentale, con partenza dalla dorsale di Tratto Spino, costa la vita a due ventenni di Malcesine, Matteo Barzoi e Luca Carletto. Si salva il dicassettenne Micael Benedetti: resta sepolto ma con il busto fuori dalla neve e il suo cellulare «trova campo» (in una zona di segnale di solito scoperta) e riesce a dare all’allarme. Ritorna alla vita, ma senza i suoi amici. Il film si ripete: nelle ultime settimane le vittime, dal Vallese alla Valle Aurina, dal Cortinese agli Appennini, si sommano. Triste contabilità che solo una conoscenza profonda dell’ambiente montano invernale può contribuire a ridurre.
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GABRIELE LAZZARINI (Istruttore di soccorso piste sci – fondatore della sezione veronese del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino Speleologico- Cnsas ed esperto di nivologia). «Lo sci alpinismo è stata la classica attività invernale ma negli ultimi decenni si sono sviluppate altre discipline invernali quali lo sci fuori pista (free ride) che per la verità solo nell’ultimo periodo ha coinvolto un numero notevole di appassionati , come lo «snowboard» e il camminare con racchette da neve, «ciaspole» (nome improprio ma molto usato). Queste attività hanno creato un afflusso  disordinato e caotico senza che però si sviluppase, in parallelo, una cultura di conoscenza della montagna invernale». «Credo – prosegue- che siamo rimasti molto indietro per quanto riguarda il capire la montagna ma certo l’uso e abuso di essa d’inverno è sotto i nostri occhi. Non siamo catastrofici: valuta il rischio e divertiti, potrebbe essere il motto. Ciò vale per tutte le attività invernali in montagna ma va ricordato che il rischio si può ridurre ma non ridurre a zero».
Rischio che si incontra, spesso anche sulle piste: «Gli incidenti sui tracciati preparati sono come quantità e pericolosità non più del solito. Nelle stagioni invernali si susseguono con andamenti alternanti. Sono in aumento, per tipologia, quelli legati all’uso della “tavola”, gli “snowboarder”. Nelle aree attrezzate allo scopo («snowpark») per la maggior parte si vedono ragazzi che si cimentano in queste aree attrezzati per acrobazie di tutti i generi . In una sola stazione di sport invernali di nostra competenza si sono verificati dal primo gennaio dicembre  2013 al 6 gennaio del 2014 una sessantina di incidenti in cui circa il 70 per cento sono da classificare come di “snowboarding”; in alcuni casi i coinvolti sono stati trasferiti con eli ambulanza per la gravità (sospetti traumi cranici), polifratture o lussazioni agli arti superiori».
Ha fatto scalpore l’incidente a Micvhael Schumacher. «L’attività in fuori pista ad ogni stagione riserva, purtroppo, situazioni gravissime, come vediamo dai giornali e dalle televisioni, spesso con informazioni non del tutto corrette, come l’incidente a Schumi: non sciava in fuori pista ma ha banalmente, battuto la testa, Attraversando l’ incrocio di due piste, osa del tutto banale se vogliamo, dal mio punto di vista; cose che vediamo spesso nelle nostre attività di soccorso in piste. Bisogna tener conto che quando si passa da una pista battuta dai mezzi meccanici il manto nevoso così compresso è di fatto molto più veloce al contatto con gli sci , la superficie non lavorata presenta un impatto diverso, pertanto un possibile sganciamento di uno o tutte e due gli sci, che non scorrono con la stessa velocità: ciò fa catapultare lo sciatore in avanti e se non si arretra immediatamente il peso del corpo, può accadere quanto abbiamo visto».
Ancora una volta la montagna è stata definita «killer», ma c’è il sospetto che sia ormai uno stereotipo: «La montagna, “valuta il rischio e divertiti”, ripeto, non è un killer , va comunque conosciuta. Negli ultimi tempi si è comunque approfondita la materia in nivologia e sempre più sviluppato come preparasi e conoscere in modo completo come evitare di trovarsi in aree a rischio elevato con la possibilità di essere travolti da valanghe. Nel 2012 – prosegue Lazzarini – ho partecipato ad un corso particolare tenuto dalla scuola dello Svi, Servizio Vanghe Italiano del Club Alpino Italiano, per apprendere le nozioni che se messe in pratica diminuisco del 90 per cento il rischio di trovarsi coinvolti in probabili valanghe. E ripeto: non esiste il rischio zero. Il metodo si chiama “3×3″ ed è stato ideato e sviluppato dalla guida alpina e maestro di sci Werner Munter, un vero “guru” delle valanghe. Consiste in un filtro di pianificazione che inizia a casa osservando le condizioni meteo nivologiche con vari passaggi si arriva sul luogo dell’escursione,dove verranno fatte le ultime valutazioni».
Quali sono comunque le precauzioni da prendere in ogni caso?
«Attrezzatura adeguata; tassativo l ‘A.r.t.v.a. (rilevatore elettronico ) con pala da neve, sonda: il primo indossato subito, sul corpo; nello zaino invece la pala da neve e sonda. Meglio, possibilmente, uno zaino “specifico”: ci sono in commercio dei modelli molto performanti, leggeri e non ingombranti; vi sono anche altre attrezzature più specifiche ma molto costose. Zaini  Con palloni gonfiati a Elio e così via….». «Tutto questo comunque – continua Lazzarini – non è un salvacondotto per le valanghe: non bisogna farsi travolgere, è ciò rimane la “prevenzione” primaria».
Resta un problema di divulgazione, forse finora,. nonostante lodevoli sforzi, ancora carente….
«Il Cai con i suoi organi tecnici, come lo S.v.i. e le scuole di sci escursionistico, il C.n.s.a.s Soccorso Alpino, Aineva che fornisce un servizio per tutta la stagione invernale di tutte le informazioni meteonivologiche precise per comprensori alpini ed appeninici. Rimangono infatti tre enti preposti a fornire tutti i dati del manto nevoso. Lo S.v.i – C.a.i / Aineva servizi regionali e Meteomont per servizi militari. Tutte queste fonti, attive 24 ore su 24, sono in grado di dare precisi sulla montagna invernale: e sono fonti gratuite…»
Quindi?
«Nei prossimi giorni avremmo un aumento delle temperature fino a 8° A 2000 mt sulle nostre montagne ,potete già immaginare cosa potrà accadere a chi farà attività in luoghi gia a rischio valanghe in questi giorni a livello 3 su 5 si prevede un aumento a 4. Questi livelli di pericolosità sono frutto delle precedenti nevicate sull’arco alpino con nevi molto umide e pesanti pronte a scaricarsi a valle. Le nostre montagne Monte Baldo e Carega ,saranno ad alto rischio su tutti i versanti pertanto tutti i pendii che superano i 28° / 30° di inclinazione sono potenzialmente pericolosissimi, finche non si tornerà ad una situazione climatica più invernale meglio evitare».
Per la prima volta si assite a un’incriminazione per «omicidio colposo» per una valanga con vittima («Il pm torinese Manuela Pedrotta ha infatti emesso la richiesta di rinvio a giudizio per i tre amici di Simone Caselli, 39 anni, di Maranello, morto travolto da una slavina il 9 dicembre 2012 sulle montagne di Sauze d’Oulx (Torino). Consulenze avevano accertato che i quattro sciatori avevano provocato la caduta della massa di neve.a provocate – Ansa): atto positivo o eccesso giuridico?
«La legislazione in merito in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo è regolamentata da una legge datata 24 dicembre 2003 n. 363. L’articolo 17 ( sci fuori pista e sci alpinismo ) al paragrafo 2) scrive come i soggetti che praticano lo sci alpinismo devano munirsi, dove per condizioni climatiche della neve sussistano evidenti rischi di valanghe di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo intervento di soccorso. Quanto agli aspetti giuridici del distacco di una valanga se esaminiamo attentamente la attuale situazione giuridica in Italia secondo la legge penale italiana i praticanti di sport invernali che provochino un distacco di una valanga possono andare incontro a conseguenze giuridiche anche con pene detentive. L’attuale contesto normativo italiano non conosce un’esatta definizione di “valanga”: rimango comunque dell’opinione che si può benissimo fare dello sci fuori pista attuando quei accorgimenti che si possono apprendere benissimo nelle varie sedi competenti ripetendo la frase “valuta il rischio e divertiti”».
Insomma, «neve sicura», dentro e fuori pista resta un obiettivo anche in un mondo in cui tutto viaggia ad alto tasso di adrenalina e con poco tempo per apprendere e metabolizzare tecnica ed esperienza…
«Dopo decenni di sci in tutte le condizioni climatiche e ambientali, alcuni punti importanti rimangono fondamentali, come l’uso del casco non solo ai ragazzi fino a 14 anni per legge (363 del 2003 ) ma per tutti; sulle piste VA mantenuta una velocità controllata, non ci si ferma sul tracciato ma ai lati, non sotto le contropendenze con scarsa visibilità».
Alcuni dati: la stagione invernale con più incidenti e morti sotto le valanghe è stata quella del 2009 -2010 con 45 morti , la media di vittime da valanghe in Italia dal 1986 al 2010 in media lineare sono state 19 ogni anno in incidenti mortali da valanga. Così suddivisi: scialpinismo 53%, freeride 20%, alpinismo 15% e per la quota rimanente altre attività e discipline».
L’ULTIMO INCIDENTE. L’ultimo incidente gravissimo causato dal distacco di una valanga, si è verificato domenica 5 gennaio 2014 in Svizzera del Canton Vallese travolgendo un gruppo di 7 persone, una guida e 6 allievi, che stava svolgendo un corso sulle valanghe a Pointe de Masserey cima delle Alpi Svizzere. Terminato il corso, il gruppo ha iniziato la discesa verso valle ma poco prima delle 15 a quota 2400 una valanga a travolto 4 di loro: tre sono rimasti illesi, hanno dato l’allarme ma purtroppo tre altri del gruppo sono morti nelle ore successive e uno versa in fin di vita. Dalle informazioni della Polizia Cantonale il distacco non sarebbe stato causato dal passaggio delle persone, ma spontaneo». Il rischi zero, appunto, non esiste.
(Per chi fosse interessato: Gabriele Lazzarini è disponibile a illustrare a gruppi Cai e associazioni il metodo «3×3» di Werner Munter. Contatti per incontri serali con video: 045/575677 AB- UFF.045/504472)

LA SEZIONE VERONESE DEL CORPO NAZIONALE DI SOCCORSO ALPINO E http://buytadalafilonline20mg.com/ SPELEOLOGICO. La Stazione di Verona del Soccorso Alpino e Speleologico opera da più di quarant’anni sul territorio veronese con precisi compiti istituzionali: contribuire alla vigilanza e alla prevenzione degli infortuni nell’esercizio delle attività connesse all’ambiente montano ed alle attività speleologiche; soccorrere in tale ambito gli infortunati, le persone in pericolo, i dispersi e recuperare i caduti, lavorando anche in collaborazione con organizzazioni esterne e concorrere al soccorso in caso di calamità in cooperazione con le strutture della Protezione Civile, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali.
«Nell’ambito della prevenzione, ci preme indicare ancora una volta alcune piccole regole che possono evitare incidenti per chi si muove (a piedi, con le ciaspole, con gli sci) in ambiente innevato montano», spiegano gli operatori del Cnsas-Verona. «Sulle nostre montagne, soprattutto sul Baldo e il Carega, la distribuzione della neve è un po’ anomala per il periodo, con assenza di accumuli consistenti alle basse quote e “punto di viraggio” attorno ai 1700/1800 metri dove le precipitazioni invernali sono sempre state a carattere nevoso. Questo limite della neve piuttosto alto favorisce un certo tipo di escursionismo in stile estivo. Attenzione però che a quote maggiori l’ambiente cambia completamente e repentinamente».
In pratica «se arrivare al rifugio Fiori del Baldo è oggi relativamente semplice e possibile anche con un paio di normali pedule, appena poco più su le condizioni costringono a scarponi invernali e, per chi ad esempio volesse spingersi verso il rifugio Telegrafo, all’uso dei ramponi e della piccozza. Le alte temperature di questi giorni e previste ancora fino a lunedì 13 (zero termico ben oltre i 2000) favoriranno fino a sabato un aumento del pericolo di valanghe fino a grado 3, marcato, con possibilità di distacchi di neve bagnata e pesante causati proprio dalle alte temperature e da aspettarsi su versanti più ripidi (le classiche pendenze proprio del Baldo oltre i 1800m o di alcuni tratti del Carega) e più direttamente esposti all’azione solare (E-S-W), ma catalizzeranno anche un generale assestamento del manto nevoso, tanto che i bollettini prevedono una stabilizzazione del grado di pericolo a moderato (2) da sabato in poi, quando saranno comunque possibili, specie alle quote più alte e magari in prossimità delle linee di cresta, distacchi di lastroni superficiali che potrebbero slittare su strati deboli». «In questo caso – proseguoni gli operatori volontari del Soccorso alpino – l’effettivo pericolo non si limita più ai versanti esposti al sole, ma più in generale, e a prescindere dall’esposizione, a tutte quelle zone caratterizzate da pendenze considerevoli e che, per morfologia e collocazione, possono aver favorito accumuli consistenti».

di Paolo Mozzo