In seguito ai recenti episodi alluvionali che si sono verificati in Toscana, pubblichiamo un articolo tratto da La Repubblica del 13 settembre, in cui il responsabile del Centro funzionale centrale per il rischio meteo-idrogeologico della Protezione Civile Carlo Cacciamani parla dei problemi del sistema di allertamento meteorologico in Italia.
ROMA. “Il sistema di allerta funziona, ma a volte fatica a percorrere l’ultimo miglio. Se Protezione Civile e Regioni emettono un allarme, anche solo giallo, non deve restare sulla carta. Deve arrivare ai cittadini, spingere il sindaco a mettere un vigile davanti a un sottopasso, mandare qualcuno a controllare l’argine, avvertire in ogni modo possibile le persone a rischio. Così come abbiamo esercitazioni obbligatorie antincendio, dovremmo averne contro le alluvioni, perché i fenomeni improvvisi e intensi purtroppo sono destinati a diventare ricorrenti, soprattutto se l’autunno subentra a un’estate torrida”. Carlo Cacciamani è da pochi giorni responsabile del Centro funzionale centrale per il rischio meteo-idrogeologico della Protezione Civile, dopo 32 anni da meteorologo all’Arpa Emilia Romagna (gli ultimi 9 come direttore). Si è fatto le ossa con piene sul bacino del Po, frane e confronti con sindaci a volte un po’ scettici: “Ricordo quando volevano fare una festa in riva a un fiume prima di una piena”.
Qual è esattamente il problema del sistema di allerta?
“Anche con la migliore pianificazione, esiste un rischio residuo che va gestito sul luogo e nel momento dell’emergenza”.
A Livorno, per esempio?
“Dal giorno prima era stato emanato un allarme arancione, che contempla espressamente la possibilità di vittime. I nostri mezzi non ci permettono di prevedere con ampio anticipo un temporale di 10 o 20 chilometri che scarica 250 millimetri di acqua in due ore e mezzo, né possiamo risolvere il problema di un fiume intombato dalla sera alla mattina. I bacini piccoli a volte impiegano meno di un’ora ad andare in piena. Però abbiamo pluviometri, idrometri e radar che ci inviano dati in tempo reale. Se dopo mezz’ora cadono 50 millimetri, dopo un’altra mezz’ora la situazione non migliora e abbiamo un fiume con una capacità di deflusso limitata, ti si devono drizzare i capelli in testa. Il sindaco o chi per lui deve far scattare l’emergenza. Subito, senza fax né Pec”.
In concreto?
“Ad esempio chiudere le zone a rischio, mettere un vigile davanti al sottopasso, mandare qualcuno a controllare che una nutria non abbia fatto un buco in un argine. Sembra una stupidaggine, ma potrebbe bastare a farlo crollare. Tutto questo non può essere fatto da Roma. E ancora: avvertire in ogni maniera, megafono incluso, chi abita in un seminterrato accanto a un fiume, se necessario evacuare le persone, giorno o notte che sia”.
E se poi non succede nulla?
“Sono scelte che un amministratore deve affrontare. Il sindaco di Genova che ha cancellato la partita sarebbe stato forse criticato, se non ci fosse stata Livorno. Evacuare un palazzo o cancellare un evento hanno un costo, materiale e sociale, che è certo. Di fronte esiste un rischio che è solo probabile, ma estremamente più tragico. Il dilemma è difficile, ma si semplifica se si elabora un piano in anticipo e lo si spiega ai cittadini”.
È un auspicio o una realtà?
“I piani di protezione civile sono obbligatori, ma solo l’86% dei comuni li ha adottati. Dovrebbero essere aggiornati, ma non sappiamo quanti lo siano. Di certo andrebbero discussi di più con i cittadini”.
Non sempre sono informati
“È vero, ma avrebbero i canali per informarsi anche da soli. Le allerte sono tutte online, in municipio si può controllare il livello di rischio della propria zona. Se c’è un’allerta arancione, la sera prima si deve parcheggiare l’auto al sicuro e togliere dalla cantina i beni preziosi. In alcuni progetti europei, come il Life Primes in Emilia Romagna, Marche e Abruzzo le misure di emergenza vengono discusse con i cittadini, che spesso hanno un’esperienza e una memoria del luogo utilissimi per la pianificazione. Ognuno di noi deve diventare un soggetto di protezione civile. I cittadini dell’Oklahoma, a furia di tornado, oggi sanno dove trovare informazioni e rifugio. In Italia siamo ancora un po’ indietro e il problema è più culturale e psicologico che non tecnico. Ci sembra impossibile che si possa morire per un temporale, invece il rischio può essere concreto”.
Esempi di comuni virtuosi?
“Ci sono. A Genova webcam e pannelli sulle strade avvertono del rischio, l’allerta arriva anche via sms, altrove gli allarmi sono sulle pagine Facebook dei sindaci, si organizzano corsi per volontari, si visitano le zone a rischio con gli abitanti e si tracciano in anticipo percorsi di fuga”.
Come finì la festa sul fiume?
“Il Comune si decise ad annullarla. Certo, la piena fu più ridotta del previsto, ma non c’era altro da fare. Ne sono convinto”.
Da La Repubblica, 13 settembre 2017